Il Re Leone è un film sulla vocazione.
Il film si apre con il battesimo del futuro re delle “Terre del Branco”. Rafiki è il sacerdote di questo rito. E chiari sono i simboli e i segni. C’è del liquido posto sulla fronte, ed è il battesimo con l’acqua, c’è il raggio di luce che scende fra le nuvole al momento dell’acclamazione, il simbolo del battesimo di Spirito, che investe di una vocazione tutta particolare il piccolo leoncino, per ora ignaro.
Con Skar si intromette il malvagio, che vorrebbe essere re, senza però averne la vocazione. La sua bramosia di dominio lo porta a uccidere il vero Re e a voler uccidere il giovane Simba. Nel far questo si avvale delle iene, che “seduce” con un discorso in cui annuncia una specie di Regno di Dio in terra, in cui ci sarà abbondanza per tutte le iene.
Indiscutibile, anche per via delle iene che marciano con il passo dell’oca su una spianata che è copiata direttamente dalle parate naziste, il riferimento ad Hitler che in effetti prometteva ai tedeschi cose dele tipo che ogni ragazza avrebbe trovato marito nel suo Reich.
Ma Skar non ha la vocazione del re, è solo un imbroglione con una grande invidia, ambizione e malvagità. Come ogni dittatore, d’altronde.
E non considera per niente il ruolo del re (o se vogliamo portarlo ai nostri giorni del politico), come un servizio alla collettività. Mentre il vecchio Re Leone col discorso sul cerchio della vita, istruiva il figlio a vedere nell’eesere re una responsabilità sociale, Skar vuole solo dominare tutto e finisce per ridurre alla miseria e alla sconfitta tutto il paese. Come ogni dittatore, d’altronde.
Responsabilità
È certo un film anche sul rapporto con il padre, forse l’unico film Walt Disney in cui il padre muore. Ma questo rapporto è appunto fondamentale per comprendere quale sia la vocazione di Simba crescendo.
Rinunciando a tutte le responsabilità Simba crescerà senza più essere se stesso. Conquistato dalle parole di Pumba e Timon, “Acunamatata”, niente responsabilità, niente problemi. Farà proprio un modo di vita che non è quello a cui la sua vocazione lo chiama. Modo di vita che probabilmente non va bene neanche per Pumba e Timon, e che può esistere solo in un’oasi scollegata da tutta la società esterna. E che è dunque un modo di vita irreale e solo infantile.
Poi con il discorso di Rafiki sul passato e soprattutto con il “ricordati chi sei”, cioè ricordati della tua vocazione, fatto dal padre nella nuvola, Simba prenderà le sue responsabilità e porterà di nuovo prosperità a tutte le sue terre.
Il re siamo noi
Un film sulla vocazione, dunque, ma non solo quella di un re. Come in tutte le favole al centro ci siamo noi, siamo noi i protagonisti, anche se si parla di re e regine, di fate e di maghi.
È un film che parla a noi tutti e di noi tutti. Ognuno di noi è destinato, chiamato ad essere re, cioè ad avere la propria vocazione importante e fondamentale per tutta la società.
In questo senso si può leggere con un’impostazione etica protestante: tutti i lavori, tutte le attività sociali e vissute con spirito di servizio alla società sono importanti e fondamentali, sullo stesso piano. Perché nel grande cerchio della vita, cioè nella vita umana, che è comunitaria e che dovrebbe tener presente anche chi verrà, ognuno di noi a molte vocazioni da parte del Signore.