La peste di Camus è un romanzo di grande impatto. Una storia che vive da sé, che parla di emozioni e che coinvolge.
È realistico, pur nella completa invenzione. Ad esempio, nella descrizione dei comportamenti di negazione e di minimizzazione all’inizio del diffondersi del contagio in una città in fondo spensierata come Orano. È adeguato e reale il dolore degli amanti divisi, del padre verso il figlio malato… È assolutamente magistrale nelle descrizioni che comunicano la pervasività della peste nella vita quotidiana, la cappa di oppressione (autentica, non modo di dire giornalistico) che tutto sovrasta.
Ma anche un romanzo che viene dopo la Seconda guerra mondiale e dopo il nazismo. Ancor più forte perché non se ne parla affatto, non c’entra nulla, eppure il romanzo sta lì solo affiancato alla storia appena passata.
Per alcuni La peste una metafora sul male. Ma forse non dovremmo indagare oltre, il testo sta lì con la sua semplicità e la sua forza, e il suo ultimo ammonimento che la peste potrebbe un giorno tornare.
E con semplicità e forza ad un certo punto è scritto:
Nessuno si congratula con un maestro perché insegna che due più due fa quattro. Tutt’al più si congratula con lui perché ha scelto quel bel mestiere. Diciamo quindi che era lodevole che Tarrou e altri avessero scelto di dimostrare che due più due fa quattro e non il contrario, ma diciamo anche che la loro buona volontà era la stessa del maestro e di tutti quelli che hanno il cuore del maestro e che, a gloria dell’uomo, sono più numerosi di quanto si pensi, o almeno tale è la convinzione del narratore. Costui prevede d’altra parte l’obiezione che gli si potrebbe rivolgere, e cioè che quegli uomini rischiavano la vita. Ma nella storia arriva sempre il momento in cui chi osa dire che due più due fa quattro viene punito con la morte. Il maestro lo sa bene. E il problema non è sapere qual è la ricompensa o la punizione che spetterà per questo ragionamento. Il problema è sapere se due più due, sì o no, fa quattro.
Da: “La peste” di Albert Camus (1947)
Già, nella storia umana arriva sempre il momento in cui chi osa dire che due più due fa quattro, cioè chi dice qualcosa di fondamentale e forse di ovvio, che ricorda qualcosa di banale ma che non può essere ignorato, rimosso, annullato perché fa parte della vita umana stessa, viene punito con la morte o rischia la morte per quello.
E i veri maestri lo sanno bene.