Giuseppe Gioachino Belli

Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli (1791 – 1863).

Già dai ridondanti nomi sappiamo che nasce in una famiglia agiata. Nato in una famiglia di un certo livello sociale, per via dell’arrivo delle truppe napoleoniche e poi della morte prematura del padre, visse in miseria fino a quando non sposò una ricca vedova. Quindi pur di discendenza nobile, ebbe modo di vivere e frequentare il popolo romano.

Reazionario per impostazione familiare, lesse e studiò anche gli illuministi e poi i romantici, ma rimase reazionario fino alla fine, anzi con l’età lo fu ancor di più. Divenne dall’1850 censore per il teatro vietando tra l’altro anche Shakespeare.

Pubblicò in italiano versi modesti. E fece trapelare alcuni dei suoi sonetti in romanesco.

Ma volle fare un monumento, nel senso di documento, ricordo, per la plebe romana (ispirato dal conoscere l’opera del milanese Carlo Porta) come lui stesso scrisse: inizio dell’introduzione ai sonetti.

Scrisse alla fine più di 2200 sonetti in romanesco.

Documento corposo (il più corposo fra i dialetti) ricchissimo anche come documento del romanesco. Scritto con una grafia pesante (che in alcune edizioni è alleggerita) per dar conto della pronuncia. Si legge spesso grazie ad un glossario a piè di pagina.

Il primo sonetto che vi presento è sul rapporto fra i preti e la gente di Roma.

Dovete considerare che lo Stato della chiesa era governato, in tutte le cariche direttive, da preti, i laici potevano avere solo incarichi esecutivi. Il popolo romano si era ribellato varie volte, e SPQR Senatus
populusque romanus
rappresenta la sigla del Comune di Roma, dunque ciò che qualche volta si era riuscito ad opporre al potere del Papa.

S. P. Q. R. (944)

​944. S.P.Q.R. Quell’esse, pe, ccú, erre, inarberate sur portone de
guasi oggni palazzo, quelle sò cquattro lettere der cazzo, che nun
vonno dí ggnente, compitate. M’aricordo però cche dda regazzo,cuanno
leggevo a fforza de frustate, me le trovavo sempre appiccicate
drent’in dell’abbeccé ttutte in un mazzo. Un giorno arfine me te venne
l’estro de dimannanne 1 un po’ la spiegazzione a ddon Furgenzio ch’era
er mi’ maestro. Ecco che mm’arispose don Furgenzio: «Ste lettre vonno
dí, ssor zomarone, Soli preti qui rreggneno: e ssilenzio». Roma, 4
maggio 1833 1 Dimandarne.

In un grande numero di sonetti ci sono i sonetti più vari. Quelli scherzosi, quelli con gli elenchi di parole romanesche (il più famoso del genere è Il Padre de li Santi), quelli satirici sui costumi, come questo:

Er decoro (425)

​427. Er decoro Pussibbile che ttu cche ssei romana nun abbi da capí
sta gran sentenza, che ppe vvive in ner monno a la cristiana bisogna
lascià ssarva l’apparenza! Co cche ccore, peddìo!, co cche ccuscenza
vôi portà scritto in fronte: io sò pputtana? Nun ze pò ffa lle cose co
pprudenza? Abbi un po’ de ggiudizzio, sciarafana. 1 Guarda Fra Ddiego,
guarda Don Margutto: c’è bbarba-d’-omo che nne pò ddí ggnente? Be’, e
la viggijja magneno er presciutto. Duncue sta verità tiettela a mmente
che cquaggiù, Checca mia, se pò ffà ttutto, bbasta de nun dà scànnolo
a la ggente. Terni, 8 novembre 1832 – Der medemo 1 Ciarafana (c
striscicato), cioè: «stolida, baccellona».

La conoscenza del Belli delle storie bibliche appare ottima, anche se ci sono degli evidenti strafalcioni messi apposta. E sotto sotto c’è anche una critica illuministica che si fa strada, malgrado il Belli stesso o forse con l’alibi del popolano ignorante, Belli parla con più libertà.

Chi la tira, la strappa (1204)

​1205. Le bbestie der Paradiso Terrestre Prima d’Adamo, senza dubbio
arcuno er ceto de le bbestie de llà ffori fascéveno 1 una vita da
siggnori senza dipenne un cazzo 2 da ggnisuno. Ggnente cucchieri, 3
ggnente cacciatori, nò mmascelli, 4 nò bbòtte, nò ddiggiuno… E
rriguardo ar parlà, pparlava oggnuno come parleno adesso li dottori.
Venuto però Adamo a ffà er padrone, ecchete 5 l’archibbusci e la
mazzola, le carrozze e ’r zughillo 6 der bastone. E cquello è stato er
primo tempo in cui l’omo levò a le bbestie la parola pe pparlà ssolo e
avé rraggione lui. 19 dicembre 1834 1 Facevano. 2 Senza per nulla
dipendere. 3 Niente cocchieri. 4 Macelli. 5 Eccoti. 6 Il sugo.

​1206. Chi la tira, la strappa Fatto Adamo padron de l’animali,
incominciò addrittura a arzà l’ariaccia. 1 Nun zalutava, nun guardava
in faccia… come fussino 2 llà ttutti stivali. Nun c’er’antro 3 pe
llui che ccan 4 da caccia, caval 5 da sella, scampaggnate, 6 ssciali,
7 priscissione 8 coll’archi trionfali,musiche, e ccianerie 9 pe la
mojjaccia. 10 E l’animali, a ttutte ste molestie, de la nescessità,
ccome noi dimo, 11 fasceveno vertú, ppovere bbestie. Nun ce fu cch’er
Zerpente, che, vvedute tante tiranneríe, disse p’er primo: «Mó vve
bbuggero io, creste futtute». 16 aprile 1834 1 Alzare l’ariaccia:
levarsi in superbia. 2 Fossero. 3 Non c’era altro. 4 Cani. 5 Cavalli.
6 Diporti in campagna. 7 Gozzoviglie. 8 Processioni. 9 Foggie
eleganti. 10 Mogliaccia. 11 Diciamo.

Er giorno der Giudizzio (273)

​276. Er giorno der giudizzio Cuattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pe cantone a ssonà: poi co ttanto de voscione
cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca. Allora vierà ssù una
filastrocca de schertri da la terra a ppecorone, 1 pe rripijjà ffigura
de perzone, come purcini attorno de la bbiocca. 2 E sta bbiocca sarà
ddio bbenedetto, che ne farà du’ parte, bbianca, e nnera: una pe annà
in cantina, una sur tetto. All’urtimo usscirà ’na sonajjera 3
d’Angioli, e, ccome si ss’annassi a lletto, smorzeranno li lumi, e
bbona sera. 25 novembre 1831 – Der medemo 1 Camminando cioè con mani e
piedi. 2 Chioccia. 3 Un formicaio, ecc.

Ecco un sonetto legato alle funzioni religiose, che gioca con un’allusione.

Er miserere (1799) 1834. Er Miserere de la Sittimana Santa Sonetti 2
1° Tutti l’ingresi de Piazza de Spaggna nun hanno antro 1 che ddí ssi
cche ppiascere è de sentí a Ssan Pietro er miserere che
ggnisun’istrumento l’accompaggna. Defatti, cazzo!, in ne la gran
Bertaggna e in nell’antre cappelle furistiere chi ssa ddí ccom’a Rroma
in ste tre ssere Miserere mei Deo sicunnum maggna? Oggi sur maggna sce
sò stati un’ora; e ccantata accusí, ssangue dell’ua!, 2 quer maggna è
una parola che innamora. Prima l’ha ddetta un musico, poi dua, poi
tre, ppoi quattro; e ttutt’er coro allora j’ha ddato ggiú:
mmisericordiam tua. 31 marzo 1836 1 Altro. 2 Dell’uva.

Nonostante l’aforisma che dice: “A Papa Gregorio je volevo bene perché me dava er gusto de potenne dì male. E i 273 sonetti scritti contro di lui.

Belli dopo la repubblica romana del 1849 non scrisse più versi in romanesco e si chiuse in un suo pessimismo in cui vedeva che non si sarebbe potuto più conservare lo Stato più arretrato d’Europa, e non voleva però niente di nuovo.

Fu così che lasciò per testamento di distruggere tutti i suoi sonetti, che non erano stati mai pubblicati. Ma questo il figlio non lo fece e fu così che con Roma capitale si pubblicarono e diffusero dando spinta alla poesia dialettale romanesca.