Trilussa

Trilussa

Carlo Alberto Salustri, (1871 -1950) è più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, anagramma del cognome.

Inizi

Anche Trilussa, come Belli, fu orfano di padre a pochi anni e visse
sempre in certe ristrettezze economiche. Al contrario del Belli fu però
subito famoso. Commentava per i giornali i fatti del giorno, e con la
sua vistosa eleganza (come mostrano varie sue fotografie)
frequentava i bar di Roma (al contrario di Pascarella che già ai primi
del secolo per la sordità e le delusioni italiane si era molto
ritirato).

Faceva recital di sue poesie non solo a Roma. Ed ebbe in vita un
successo clamoroso. Tanto che anche in Bregaglia i maestri come Gianin
Gianotti lo facevano conoscere agli scolari.

La lingua di Trilussa più vicina all’italiano, non perché addolcisca la
lingua, ma perché la lingua nel frattempo era mutata. Però fu criticato
per una lingua piccolo-borghese e quindi intesa da alcuni meno vera. Ma
il dialetto è dialetto anche se è parlato da aristocratici.

E riguardo al suo certo qualunquismo. Cioè criticare tutti, senza portar
niente, c’è da dire che si lega al disincanto e al pessimismo, che
avevamo ritrovato anche in Belli, che lo porta a non avere illusioni
sulla situazione italiana e a criticare tutti i partiti politici. Ma
questo quindi non è qualunquismo, per altro termine nato nel secondo
dopoguerra, ma quel pessimismo che le cose possano realmente cambiare.

La politica

Ner modo de pensà c’è un gran divario: mi’ padre è democratico
cristiano, e, siccome è impiegato ar Vaticano, tutte le sere recita er
rosario;

de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano è socialista
rivoluzzionario; io invece so’ monarchico, ar contrario de Ludovico
ch’è repubbricano.

Prima de cena liticamo spesso pe’ via de ’sti principî benedetti: chi
vô qua, chi vô là… Pare un congresso!

Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma ce dice so’ cotti li spaghetti semo
tutti d’accordo ner programma.

Che era un grande poeta si può vedere da un testo come questo che è del
1908.

L’incontro de li sovrani

Bandiere e banderole, penne e pennacchi ar vento, un luccichìo
d’argento de bajonette ar sole, e in mezzo a le fanfare spara er
cannone e pare che t’arimbombi dentro.

Ched’è?(1) chi se festeggia? È un Re che, in mezzo ar mare, su la
fregata reggia riceve un antro Re. Ecco che se l’abbraccica,(2) ecco
che lo sbaciucchia; zitto, ché adesso parleno…

-Stai bene? – Grazzie. E te? e la Reggina? – Allatta. – E er
Principino? – Succhia. – E er popolo? – Se gratta. – E er resto? – Va
da sé… – Benissimo! – Benone! La Patria sta stranquilla; annamo a
colazzione…

E er popolo lontano, rimasto su la riva, magna le nocchie(3) e
strilla: – Evviva, evviva, evviva… – E guarda la fregata sur mare
che sfavilla.

(dicembre 1908 1) Che cos’è? 2) L’abbraccia. 3) Le nocciole.)

Comunque in Trilussa come negli altri poeti romaneschi, e in fondo nel
popolo stesso, c’è sempre il sorriso, la satira, la battuta folgorante,
il castigat ridendo mores.

E questo lo rende sempre lieve da leggere, mai serioso o borioso, anche
nella denuncia. Già perché sotto la patina garbata, c’è comunque una
critica forte, ma forse con il sorriso più incisiva.

Che alle volte come con la statistica divenne proverbiale.

La Statistica

Sai ched’è la statistica? È na’ cosa\
che serve pe fà un conto in generale\
de la gente che nasce, che sta male,\
che more, che va in carcere e che spósa.

Ma pè me la statistica curiosa\
è dove c’entra la percentuale,\
pè via che, lì, la media è sempre eguale\
puro co’ la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno\
seconno le statistiche d’adesso\
risurta che te tocca un pollo all’anno:

e, se nun entra nelle spese tue,\
t’entra ne la statistica lo stesso\
perch’è c’è un antro che ne magna due.

Le poesie contro la prima guerra mondiale

Un paragrafo a parte sono le poesie contro la prima guerra mondiale.

Ne leggo, commozione permettendo, due: ma in ordine differente dalla
composizione. La prima del 1916 è sul secondo Natale di guerra e la
seconda era stata scritta con acume prima dell’entrata in guerra nel
1914 e poi musicata nel 1916.

Infatti dopo un lungo dibattito fra interventisti e non interventisti,
venne decisa, quasi con un colpo di mano, l’entrata in guerra. Ed allora
fu ancora più difficile dirne contro.

Ad esempio Vittorio Emanuele III all’entrata dell’Italia in guerra 24
maggio 1915 dichiarò: *«Cittadini e soldati, siate un esercito solo!
Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni
recriminazione è tradimento.» *

Natale di guerra

Ammalapena che s’è fatto giorno la prima luce è entrata ne la stalla e
er Bambinello s’è guardato attorno. – Che freddo, mamma mia! Chi
m’aripara? Che freddo, mamma mia! Chi m’ariscalla? – Fijo, la legna è
diventata rara e costa troppo cara pé compralla… – E l’asinello mio
dov’è finito? – Trasporta la mitraja sur campo de battaja: è
requisito. – Er bove? – Puro quello fu mannato ar macello. – Ma li Re
maggi arriveno? – E’ impossibile perchè nun c’è la stella che li
guida; la stella nun vò uscì: poco se fida pè paura de quarche
dirigibbile… –

Er Bambinello ha chiesto: – Indove stanno tutti li campagnoli che
l’altr’anno portaveno la robba ne la grotta? Nun c’è neppure un sacco
de polenta, nemmeno una frocella de ricotta…

Fijo, li campagnoli stanno in guerra tutti ar campo e combatteno. La
mano che seminava er grano e che serviva pè vangaà la terra adesso viè
addoprata unicamente per ammazzà la gente… Guarda, laggiù, li lampi de
li bombardamenti! Li senti, Dio ce campi, li quattrocentoventi che
spaccheno li campi? –

Ner dì così la Madre der Signore s’è stretta er fijo ar core e s’è
asciugata l’occhi co’ le fasce. Una lagrima amara per chi nasce, una
lagrima dòrce per chi more.

Ninna nanna della guerra è un testo per una canzone.

Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vô la zinna1: dormi, dormi, cocco
bello, sennò chiamo Farfarello (2) Farfarello e Gujrmone (3) Gujermone
e Ceccopeppe (4) che se regge co’ le zeppe, co’ le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai tante infamie e tanti
guai che succedeno ner monno fra le spade e li fucilli de li popoli
civilli…

Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se
scanna per un matto che commanna; che se scanna e che s’ammazza a
vantaggio de la razza… o a vantaggio d’una fede per un Dio che nun
se vede, ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro.

Ché quer covo d’assassini che c’insanguina la terra sa benone che la
guerra è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe’ li ladri
de le Borse.

Fa’ la ninna, cocco bello, finché dura ’sto macello: fa’ la ninna, ché
domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima boni amichi come prima. So’ cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali.

E riuniti fra de loro senza l’ombra d’un rimorso, ce faranno un ber
discorso su la Pace e sul Lavoro pe’ quer popolo cojone risparmiato
dar cannone!

(ottobre 1914 ​1) La poppa. 2) Il diavolo. 3) Guglielmo II. 4) Francesco Giuseppe.)

Fra cent’anni

Da qui a cent’anni, quanno ritroveranno ner zappà la terra li resti de
li poveri sordati morti ammazzati in guerra, pensate un po’ che
montarozzo d’ossa, che fricandò de teschi scapperà fòra da la terra
smossa! Saranno eroi tedeschi, francesci, russi, ingresi, de tutti li
paesi. O gialla o rossa o nera, ognuno avrà difesa una bandiera;
qualunque sia la patria, o brutta o bella, sarà morto per quella.

Ma lì sotto, però, diventeranno tutti compagni, senza nessuna
diferenza. Nell’occhio vôto e fonno nun ce sarà né l’odio né l’amore
pe’ le cose der monno. Ne la bocca scarnita nun resterà che l’urtima
risata a la minchionatura de la vita. E diranno fra loro: – Solo
adesso ciavemo per lo meno la speranza de godesse la pace e
l’uguajanza che cianno predicato tanto spesso!

31 gennaio 1915

Le favole

Dunque Trilussa si staccò anche dal sonetto e celebri divennero le sue
favole (che anche nel Belli avevano qualche precedente).

L’omo e la scimmia

L’Omo disse a la Scimmia: -Sei brutta , dispettosa: ma come sei
ridicola! ma quanto sei curiosa!

Quann’ io te vedo, rido: rido nun se sa quanto!… La Scimmia disse :

  • Sfido! T’ arissomijo tanto!

Er porco e er somaro

Una matina un povero Somaro Ner vede un Porco amico annà ar macello,
Sbottò in un pianto e disse: – Addio, fratello, Nun ce vedremo più nun
c’è riparo!

  • Bisogna esse’ filosofo,bisogna: – Je disse er Porco – via nun fa’ lo
    scemo, Chè forse un giorno ce ritroveremo In quarche mortatella de
    Bologna!

Er sorcio de città e er sorcio de campagna

Un Sorcio ricco de la capitale invitò a pranzo un Sorcio de campagna.

  • Vedrai che bel locale, vedrai come se magna… – je disse er Sorcio
    ricco – Sentirai! Antro che le caciotte de montagna! Pasticci dorci,
    gnocchi, timballi fatti apposta, un pranzo co’ li fiocchi! una
    cuccagna! – L’intessa sera, er Sorcio de campagna, ner traversà le
    sale intravidde ’na trappola anniscosta; – Collega, – disse –
    cominciamo male: nun ce sarà pericolo che poi…? – Macché, nun c’è
    paura: – j’arispose l’amico – qui da noi ce l’hanno messe pe’
    cojonatura. In campagna, capisco, nun se scappa, ché se piji un
    pochetto de farina ciai la tajola pronta che t’acchiappa; ma qui, se
    rubbi, nun avrai rimproveri. Le trappole so’ fatte pe’ li micchi: ce
    vanno drento li sorcetti poveri, mica ce vanno li sorcetti ricchi!

​(1) Gli sciocchi.

La cecala d’oggi

Una Cicala che pijava er fresco All’ombra der grispigno e de l’ortica
Pe’ dà’ la cojonella a ’na Formica Canto ’sto ritornello romanesco:
-Fiore de pane, lo me la godo, canto e sto benone, E invece tu fatichi
come un cane. Eh! da quì ar bervedè’ ce corre poco: – Rispose la
Formica- Non t’hai da crede’ mica Ch’er sole scotti sempre come er
foco! Ammomenti verrà la tramontana: Commare, stacce attenta… Quanno
venne l’inverno La Formica se chiuse ne la tana, Ma ner sentì’ che la
Cecala amica Seguitava a cantà’ tutta contenta, Uscì fora e je disse:
-Ancora canti? Ancora nu’ la pianti? Io? – fece la Cecala – manco a
dillo, Quer che facevo prima faccio adesso: Mò ciò l’amante: me mantiè
quer grillo Che ’sto giugno me stava sempre appresso Che dichi ?
l’onestà ? Quanto sei cicia! M’aricordo mi nonna che diceva: Chi
lavora cià appena una camicia, E sai chi ce n’ha due.? Chi se la leva.

​1) Cicerbita, specie d’insalata. 2) Per canzonare, dar la baia. 3) Di
poco spirito.

Er leone riconoscente

Ner deserto dell’Africa, un Leone che j’ era entrato un ago drento ar
piede, chiamò un Tenente pè l’operazzione. – Bravo! – je disse doppo –
lo t’aringrazzio: vedrai che sarò riconoscente d’avemme libberato da ’
sto strazio; qual’é er pensiere tuo? D’esse promosso? Embè, s’io posso
te darò ’ na mano… – E in quella notte istessa mantenne la promessa
più mejo d’un cristiano; ritornò dar Tenente e disse: – Amico, la
promozzione é certa, e te lo dico perché me sò magnato er Capitano.

Ma anche quasi favole sono le prossime due:

La spada e er cortello

Un vecchio Cortello diceva a la Spada: – Ferisco e sbudello la gente
de strada, e er sangue che caccio da quele ferite diventa un
fattaccio, diventa ’na lite…-

Rispose la Spada: – Io puro sbudello, ma faccio ’ste cose sortanto in
duello, e quanno la lama l’addopra er signore la lite se chiama
partita d’onore!

Carità cristiana

Er Chirichetto d’una sacrestia sfasciò l’ombrello su la groppa a un
gatto pe’ castigallo d’una porcheria. – Che fai? – je strillò er Prete
ner vedelllo – Ce vò un coraccio nero come er tuo pe’ menaje in quer
modo… Poverello!… – Che? – fece er Chirichetto – er gatto è suo? –
Er Prete disse: – No… ma è mio l’ombrello!-

Avarizzia Ho conosciuto un vecchio ricco, ma avaro: avaro a un punto
tale che guarda li quatrini ne lo specchio pe’ vede raddoppiato er
capitale.

Allora dice: – Quelli li do via perché ce faccio la beneficenza; ma
questi me li tengo pe’ prudenza… – E li ripone ne la scrivania.

Sotto il fascismo

Trilussa era troppo famoso per ricevere noie dal fascismo e non fece
neanche tanto contro di esso. Però non prese mai la tessera del partito
fascista e certe poesie anche se non così nette, sono con garbo, contro
il fascismo o alcuni suoi aspetti.

A chi diceva che per questo era stato un antifascista, egli rispondeva
di essere stato un non fascista.

Uno che svicola

Tu voressi sapè s’io so’propenso e me lo chiedi proprio sul tranvai!
Da la stessa domanna che me fai capisco che già sai come la penso.

Ecco…vedi…però…forse…se mai… Io dico pane ar pane,ma in compenso
so’stato sempre un omo de bon senso perchè me piace l’ordine e lo sai.

Dunque,su questo qui,nun se discute che essenno tutti quanti d’un
pensiero ciavemo le medesime vedute.

Der resto,tu, m’hai bello che capito… Dico bene?A proposito…ma è vero
che Giggia s’è divisa dar marito?

Acqua e vino

Se certe sere bevo troppo e er vino me fa quarchiduna de le sue,
benchè sto solo me ritrovo in due con un me stesso che me viè vicino e
muro-muro m’accompagna a casa pe’ sfuggì da la gente ficcanasa.

Io, se capisce, rido e me la canto, ma lui ce sforma e pe’ de più me
scoccia: – Nun senti che te gira la capoccia? Quanno la finirai de
beve tanto? – E’ vero, – dico – ma pe’ me è una cura contro la noja e
contro la paura.

Der resto tu lo sai come me piace! Quanno me trovo de cattivo umore un
bon goccetto m’arillegra er core, m’empie de gioja e me ridà la pace:
nun vedo più nessuno e in quer momento dico le cose come me la sento.

  • E questo è er guajo! – dice lui – Più bevi più te monti la testa e
    più discorri e nun pensi ar pericolo che corri quanno spiattelli
    quello che nun devi; sei sincero, va be’, ma ar giorno d’oggi come
    rimani se nun ciai l’appoggi?

Impara da Zi’ Checco: quello è un omo ch’usa prudenza e se controlla
in tutto: se pensa ch’er compare è un farabutto te dice ch’er compare
è un galantuomo, in modo ch’er medesimo pensiero je nasce bianco e
scappa fôri nero.

Tu, invece, quanno bevi co’ l’amichi, svaghi, te butti a pesce e nun
fai caso se ce n’è quarchiduno un po’ da naso pronto a pesà le buggere
che dichi, che magara t’approva e sotto sotto pija l’appunti e soffia
ner pancotto.

Stasera, a cena, hai detto quela favola der Pidocchio e la Piattola in
pensione: ma te pare una bell’educazzione de nominà ‘ste bestie
proprio a tavola senza nemmanco un occhio de riguardo pe’ l’amichi che
magneno? E’ un azzardo!

Co’ tutto che c’è sotto la morale la porcheria rimane porcheria: e se
quarcuno de la compagnia se sente un po’ pidocchio, resta male. Co’ la
piattola è peggio! Quanta gente vive sur pelo e nun sapemo gnente?

Le verità so’ belle, se capisce, ma pure in quelle ciabbisogna un
freno. Eh! Se ner monno se parlasse meno quante cose annerebbero più
lisce! Ch’er Padreterno te la manni bona da li discorsi fatti a la
carlona! –

E ammalappena er vino che ciò in testa sfuma nell’aria e me ritrovo
solo capisco d’avè torto e me consolo che in un’epoca nera come questa
s’incontri ancora quarche bon cristiano che, se sto pe’ cascà, me dà
una mano.

Questione de razza -Che cane buffo! E dove l’ hai trovato? – Er
vecchio me rispose: – é brutto assai, ma nun me lascia mai: s’ é
affezzionato. L’ unica compagnia che m’ é rimasta, fra tanti amichi, é
’ sto lupetto nero: nun é de razza, é vero, ma m’ é fedele e basta. Io
nun faccio questioni de colore: l’ azzioni bone e belle vengheno su
dar core sotto qualunque pelle.

Nummeri – Conterò poco, è vero: – diceva l’Uno ar Zero – ma tu che
vali? Gnente: propio gnente. Sia ne l’azzione come ner pensiero rimani
un coso voto e inconcrudente. lo, invece, se me metto a capofila de
cinque zeri tale e quale a te, lo sai quanto divento? Centomila. È
questione de nummeri. A un dipresso è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore più so’ li zeri che je vanno
appresso.

1944

Dopoguerra

Nel dopoguerra concluse la raccolta dei suoi scritti ed era sempre più
ammalato. Il Presidente della Repubblica, il liberale Luigi Einaudi lo
volle fare senatore a vita, che avvenne il 1° dicembre del 1950.
Trilussa che sarebbe morto poco dopo, disse che lo avevano fatto non
senatore a vita, ma senatore a morte.

Sarebbe morto il 21 dicembre, lo stesso giorno del Belli, di cui aveva
preso anche lo stesso pseudonimo nella Accademia tiberina.

Di lui si ricordano anche poesie crepuscolari, come si usava dire:

La felicità
C’è un ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e
se ne và… Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.